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Il Pesce gatto antica prelibatezza imperiale

di Silvia Sorvillo

Una cenetta d'altri tempi ha svelato importanti traffici di commercio tra le città del lontano Impero Romano d'Oriente

24 febbraio 2003

Ci sono voluti un paio di mesi prima che l'articolo venisse definitivamente accettato ma poi, a maggio, Jas, il "Journal of Archaeological Science", prestigiosa rivista del gruppo Elsevier, ha pubblicato un'insolita ricerca su uno dei pesci più comuni e diffusi d'Italia, il pesce gatto. Clarias gariepinus, questo è il nome che la tassonomia scientifica assegna al grazioso animaletto d'acqua dolce, non è solo oggetto di palpitante desiderio per i pescatori sportivi, ma è stato anche l'originale protagonista dello studio condotto da alcuni archeologi nell'Università Cattolica di Leuven in Belgio.

anche i romani consumavano pesce crudo

Eh si, chi l'avrebbe mai detto che il baffuto esemplare che popola fiumi e laghetti delle pianure d'Italia e d'America, è lo stesso che, nel 500-600 DC, arricchiva il desco degli aristocratici commensali che banchettavano e vivevano sulla penisola anatolica? La ricerca, frutto della collaborazione tra esperti archeologi e i genetisti della stessa università belga, trae spunto proprio dal ritrovamento di alcune lische di pesce gatto nelle fosse cittadine adibite a contenere i rifiuti culinari.
Oltre al Clarias g., gli archeologi hanno trovato reperti ossei di pesce persico e di tilapia egizia, altre due specialità gastronomicamente gradite di quei tempi. I ricercatori, partendo dagli insoliti reperti, in fondo si tratta solo di avanzi gastronomici un po' datati, hanno dedotto che anche i romani, come le più rinomate civiltà orientali, consumavano pesce crudo.
Il sushi ha quindi insospettabili trascorsi storici anche per gli occidentali che però preferivano consumarlo, almeno più saggiamente di quanto facciamo noi oggi, sottosale. Il dato interessante della ricerca non è però certo questo, degno di nota è piuttosto il mancato ritrovamento, nelle stesse fosse, delle teste di questi pesci. Ma se non c'è traccia di teste e il pesce consumato è risultato essere tutto decapitato, è allora matematicamente certo che l'alimento arrivasse così, privo di capo e già pronto per il consumo.

Il prelibato manicaretto era quindi importato da paesi lontani. In effetti, il pesce gatto dell'era DC era originario del basso Nilo e la sua presenza nella penisola turca conferma l'esistenza di un'intensa, e fino ad oggi sconosciuta, attività commerciale tra le diverse e remote province dell'Impero romano d'Oriente. Sagalassos, la cittadina in cui è stato fatto il ritrovamento, era un centro a 1400 m. sul livello del mare, lontana 110 chilometri dalla costa sud orientale della Turchia e famosa per essere il fulcro della magniloquente civiltà greco-romana.

gli scavi di Sagalassos hanno fornito importanti indicazioni agli archeologi

Ancora oggi, dal 1990, quest'antica polis è secondo gli esperti di settore uno dei più importanti siti archeologici. I suoi 1800 chilometri quadrati di scavi hanno permesso agli studiosi di fare una ricostruzione quasi completa della struttura urbanistica tipica di quei tempi e di quelle regioni. I numerosi e diversi reperti hanno fornito agli archeologi tutti gli strumenti per studiare e definire i cambiamenti climatici, le usanze e le tradizioni che caratterizzarono il V e il VI secolo DC.
Sulla base dei dati forniti dalle varie escavazioni è stato possibile descrivere con maggior accuratezza le tecniche agricole allora più diffuse e sono state svelate anche molte delle procedure che consentirono la rifiorente produzione di ceramiche artistiche. A conferma della rilevanza mercantile di Sagalassos, molti manufatti, specie il vasellame, sono stati ritrovati in altri importanti scavi archeologici realizzati in terra d'Egitto.

Stephen Mitchell, esperto di Storia antica all'Università di Exeter, in Gran Bretagna, sostiene che questi rapporti commerciali erano così forti da continuare piuttosto intensamente anche dopo il 500 DC. Sempre secondo Mitchell, nonostante la città abbia subito una sequenza di eventi negativi -un terremoto, la recessione economica, la peste e infine l'invasione- la prosecuzione senza sosta dell'importazione di pesce testimonia l'alto livello organizzativo della città che fu capace di sopportare momenti davvero difficili per lo scambio e la comunicazione.
Filip Volckaert, il genetista che si è occupato dell'analisi molecolare dei ritrovamenti, ha ipotizzato che il pesce fosse catturato, pulito ed eviscerato in loco dagli stessi pescatori egiziani che poi lo mettevano ad essiccare al sole, prima di caricarlo sulle navi adibite al trasporto e al commercio. E' stata proprio questa loro tecnica di preparazione che ha permesso la lunga conservazione delle lische ritrovate.

Tornando alla pubblicazione su Jas, l'esame genetico descritto nell'articolo è stato eseguito su sei pinne pettorali. La mappatura e il confronto del Dna mitocondriale di queste con quello delle pinne degli esemplari più moderni, appartenenti alla stessa specie e provenienti dalla Turchia, Siria, Israle, Mali, Egitto e Senegal, ha confermato una perfetta corrispondenza tra loro.
Volckaert ha confermato così non solo la diretta discendenza ma anche la completa identità di questa specie con quella moderna, un dato molto importante è stato così aggiunto al quadro tassonomico ed evoluzionistico della specie. A noi resta solo il dovere di guardare con maggiore referenza gli esemplari di questa simpatica e antica razza che fu testimone discreta della prolificità dei traffici economici di un tempo, ma già che ci siamo potremmo anche trarne igienico spunto per un consumo più sano - almeno che sia sottosale - di pesce crudo.






Scienzità è stato realizzato da Silvia Sorvillo e Vittorio Sossi