Se c'è una figura, fra i malvagi incontrati da Zagor,
che può suscitare sentimenti controversi e attenuazioni delle
condanne, quella è certamente Ben Stevens.
Stevens era un tranquillo cercatore d'oro che aveva assistito
al massacro dei suoi compagni da parte della furia di un manipolo di
Munsee. Creduto morto ha subito la terribile sorte di essere
scalpato vivo. Una dolorosa menomazione che lo avrebbe ferito nel corpo
come nella mente.
Solo la vendetta contro i suoi aguzzini avrebbe potuto restituirgli
un po' di pace.
La sua solitudine, che lo spinse sull'orlo della follia, gli regalò
una nuova abilità: la capacità di comunicare con le aquile.
Esse non avrebbero mai guardato con disprezzo il suo volto deturpato.
Coll'affinarsi di questa attitudine decise di preparare un piano di
vendetta contro i Munsee. Si ammantò di un'aura di soprannaturalità
presentandosi come il Re delle Aquile: mascherato come una di
loro.
Si circondò di una banda di disperati che avrebbero rappresentato
il suo punto debole.
Zagor lo sconfisse dopo aver passato momenti terribili in balìa
dei rapaci, e lo vide precipitare abbracciato alla fedele Ayala,
con un certo rimpianto.
Ma lo Stevens scalpato era in grado solo di farsi odiare piuttosto
che amare. Sopravvissuto alla caduta grazie alle cure di un folle medico
scienziato, Prometeus, fu caricato di una nuova menomazione:
la perdita della gamba sinistra.
Ormai oltre ogni possibilità di redenzione, trasformò
il sogno di Prometeus di pace e armonia fra i viventi e la creazione
di una schiera di angeli che vegliassero su questa nuova umanità,
in un incubo.
Ultor, la creatura alata di Prometeus aveva perso tutta la sua
umanità ed era diventata un'arma micidiale nelle mani di Stevens.
Era il momento della vendetta contro Zagor, che fu attirato con
un falso messaggio di Miwok e contro lo stesso capo Munsee,
che fu ucciso davanti ai suoi guerrieri impotenti.
Il sacrificio di Prometeus ne sventò il disegno ma lo
spirito di Stevens sopravvisse e tornò addirittura dall'oltretomba,
richiamato dalle arti arcane del Wendigo e dalla scienza di Hellingen.
Così un uomo che aveva subito dalla vita solo affronti e aveva
reagito nel modo sbagliato, fu offeso anche nella morte!
In fede Robert Short
A causa del solito pasticciaccio di Cico, i due amici erano stati
costretti ad una deviazione attraverso le pendici dei monti Catskill,
a nord est della Pennsylvania.
Sulla riva di un ruscello di montagna si erano imbattuti in un insediamento
di cercatori d'oro apparentemente abbandonato. In realtà il silenzio
che li aveva accolti era un silenzio di morte.
I corpi, ormai consunti, dei cercatori giacevano massacrati da frecce
Munsee.
Zagor, preoccupato per questo oscuro ritrovamento, anche se l'accaduto
risaliva a molti mesi prima, non aveva intenzione di indagare ulteriormente;
del resto non aveva alcuna autorità sui Munsee.
Ma l'occasione per approfondire la vicenda gli venne offerta da quell'imbranato
del suo amico, che piombò in una trappola predisposta per catturare
un pericoloso leone di montagna.
Zagor arrivò in tempo per salvare dagli artigli del puma
sia Cico che gli avventati cacciatori Munsee e poté
presentarsi all'accampamento, investito di autorità e ammirazione.
Miwok, il capo indiano, non esitò a fornirgli spiegazioni
sul massacro, che ancora appesantiva il suo animo.
Il responsabile dell'eccidio era stato suo padre: un uomo che non aveva
mai coltivato l'ostico campo della pace e che era l'unico ad essere
morto nell'assalto. Da allora, sotto la sua guida, i Munsee non
avevano più compiuto alcuna azione di guerra.
Zagor fu rassicurato dalle parole, che sembravano sincere, anche
se un'ombra offuscava il volto di Miwok e gli rubava la serenità.
Il
giorno successivo Zagor scoprì la causa di quella inquietudine,
mentre assisteva attonito ad un evento a dir poco sorprendente.
Un'aquila di dimensioni gigantesche si posò al centro del villaggio,
per nulla intimorita dalla presenza di tanti uomini, e attese pazientemente
fino a quando gli indiani non le legarono alle zampe due pesanti sacchetti
di polvere d'oro. Allora spiccò il volo incurante del peso del
metallo giallo.
Miwok, subito dopo, rispose alle domande che leggeva
sul volto dei due amici e raccontò una storia incredibile.
Tempo
prima, mentre era con suo figlio e alcuni guerrieri al Piano delle
Fonti, nel bel mezzo di un tranquillo bivacco, si era manifestata
una terrificante apparizione. Un uomo - ma era poi un uomo? - con la
testa di uccello, lo condannò per la strage del torrente e gli
impose un severo dazio. Raccogliere l'oro al posto di quegli uomini
pacifici barbaramente assassinati.
Prima
che Miwok e i suoi avessero il tempo di reagire, ad un solo richiamo
di quel pittoresco individuo, un'aquila gigantesca, Ayala, piombò
sul suo giovane figlio Cervo Bianco e lo trascinò in alto,
con la stessa facilità con la quale avrebbe sollevato una lepre
di montagna.
Subito dopo, ubbidienti agli ordini del Re delle Aquile, altri
rapaci piombarono sul gruppo facendo scempio con i loro becchi e i loro
artigli di tutti i guerrieri di Miwok.
Il capo Munsee ancora ricordava quella voce tuonare e stridere mentre
invocava i loro nomi: Unkar, Sabah, Alma...
Da allora, ogni tre giorni Ayala, puntuale come un pony express,
planava sul villaggio e tornava al rifugio ignoto del Re delle Aquile,
sugli impervi e spogli picchi delle Catskill.
Zagor aveva intuito che quel ricatto non avrebbe mai avuto fine
e, comunque, che Miwok non avrebbe più rivisto suo figlio
e si offrì per liberarlo.
Dopo aver ricostruito il contorto percorso di Ayala, tramite
una rete di osservatori, oltre il Monte Punta di Lancia attraverso
il Bosco Splendente e sopra il Fiume Giallo, seguì
il rapace sul Monte del Grande Fuoco: un picco desolato distrutto
da un disastroso incendio.
Alle falde del monte un'imprevista caduta mise fuori gioco Cico
e Zagor fu costretto a proseguire da solo.
Il
Re delle Aquile aveva una guardia personale di brutti ceffi,
che indossavano le stesse spaventose maschere, ma che erano molto meno
pericolosi del capo.
Per penetrare nel campo, Zagor fu costretto ad eliminare Ken
e Hastings, i due uomini di guardia e, camuffato come un membro
della banda, raggiunse agevolmente la baracca nella quale era rinchiuso
Cervo Bianco.
Il ragazzo, spaventato, con le sue urla mise in allerta i rapitori e
Zagor finì anche lui prigioniero dopo una furiosa lotta, in balia
di quegli uomini senza scrupoli che gli organizzarono una morte spaventosa,
furiosi per il ritrovamento dei cadaveri dei compagni.
Zagor fu legato su un piccolo pianoro in attesa di essere straziato
e smembrato dai becchi uncinati e dagli artigli affilati dei rapaci
del Re delle Aquile.
Una morte più spaventosa è difficile da immaginare. Eppure
in questo modo terribile sarebbe finita la leggenda dello Spirito
con la Scure, se il piccolo messicano non avesse tirato fuori un'altra
delle sue trovate. Raggiunto l'amico ormai allo stremo spaventò
le aquile con una fionda: improvvisata ma efficace.
Zagor
pensò allora di rivolgere la sua morte contro i nemici ricorrendo
ad una delle sue collaudate rappresentazioni.
Legato al suo posto il corpo di Hastings, una delle due sfortunate
sentinelle, attese che la notte desse il tempo alle aquile di divorare
il cadavere e fornisse lo scenario ideale per l'arrivo del suo spaventoso
Spettro...
I
Sullivan avevano istruito a dovere il giovane Pat Wilding
sui vantaggi di una presenza scenica e Zagor aveva fatto tesoro dei
loro insegnamenti. Non li lesinava né ai raduni annuali dei capi
di Darkwood né in situazioni disperate per impressionare
avversari della sua stessa razza.
Della sua abilità avevano già fatto le spese gli sgherri
di Timber Bill e gli scalcinati complici del Re delle Aquile
furono un pubblico altrettanto ricettivo.
Quando
i due uomini di guardia, Alan e Korvic, videro avvicinarsi
lo Spettro, all'inquietante bagliore lunare, cedettero al panico
e si lasciarono sopraffare in un batter d'occhio.
Lo stesso accadde agli altri. Tranquillamente intenti alle loro mansioni
o sorpresi in un robusto sonnnellino.
Ma
il Re delle Aquile era fatto di tutt'altra pasta!
Asserragliato nella sua baracca con l'ultimo complice, Appel,
resistette fino all'ultimo tanto da costringere Zagor ad un pericoloso
assalto frontale per stanarlo.
Gettò la maschera, infine. E, quando si tolse il copricapo, la
sorpresa e il disgusto assalirono Zagor e Cico. Quell'uomo
aveva il volto solcato da impressionanti cicatrici, rosse di dolore
e di odio.
Fu
allora che il Re delle Aquile raccontò la sua storia e
l'origine del suo odio per i Munsee.
Ben Stevens, questo era il suo nome, era l'unico sopravvissuto
del massacro dei cercatori d'oro.
Pacifici, sorpresi nella notte intenti ad una tranquilla partita a carte
erano stati assaliti a tradimento dai Munsee assetati di sangue guidati
dal padre di Miwok, massacrati a colpi di frecce e di scure.
Aveva
visto cadere i compagni uno a uno trafitti e straziati nel corpo, Jed
Parker, Max Homburg e Kid Bannyon, quest'ultimo poco
più che un ragazzo. Per lui il destino aveva in serbo una pena
più crudele. Creduto morto era stato scalpato vivo e le ferite
che aveva sulla testa erano ben meno profonde di quelle che erano state
inferte al suo cuore, gonfio di odio.
Da allora il suo scopo era stato solamente la vendetta. Il mezzo per
vendicarsi dei Munsee gli era stato offerto dalla natura. Rifugiatosi
sui rocciosi altopiani dei monti Catskill, solo con la sua menomazione
e i suoi pensieri, aveva raccolto un aquilotto che aveva chiamato Unkar.
Incredibilmente era riuscito ad addomesticarlo e soprattutto era in
grado di comunicare con lui e impartirgli semplici ordini. Euforico
per il successo aveva ordinato ad Unkar di portargli altre aquile
fino alla splendida e gigantesca Ayala. Un'aquila di proporzioni
immense in grado di trasportare senza sforzo apparente, persino il giovane
Cervo Bianco.
Era pronto per la sua vendetta!
Ma la vendetta aveva ceduto il passo all'ingordigia e aveva preferito
usare il terrore ed il ricatto per arricchirsi.
Zagor,
scosso e impietrito per le sofferenze che aveva dovuto sopportare quell'uomo,
si fece sorprendere e in men che non si dica Ben Stevens stava
arrampicandosi sulle rocce scoscese dei picchi, chiamando a raccolta
le sue aquile..
Questi si avventarono sullo Spirito con la Scure che folle di
rabbia e disperazione li sterminò.
Stevens,
con alle spalle un precipizio, osò l'inosabile. Aggrappato alle
zampe della sua amata Ayala cercò di raggiungere in volo
un picco vicino e sottrarsi all'inseguimento. Ma il fiero rapace non
aveva la forza per sostenere un uomo adulto e precipitò con il
suo signore nel crepaccio.
Stevens tornò ma questa è un'altra storia....
Ben Stevens, il Re delle Aquile, è l'avversario di
Zagor che preferisco del periodo nolittiano, secondo solo, ovviamente,
al diabolico Hellingen. La copertina del Re delle Aquile, con Zagor
incatenato alla roccia come Prometeo, e le chimere uomo-rapace che
incombono su di lui è una di quelle che non si dimenticano...
E io ho espresso il mio gradimento come facevo di solito a quella
età scarabbocchiandola e ricalcandola. (Mah?)
Il pathos e il dramma all'origine della sua genesi, la menomazione,
il comprensibile odio e il desiderio di vendetta sono le radici del
suo successo. Anche Zagor alla fine della prima storia a parole di
conforto per il nemico: ... Se tu avessi avuto il coraggio di affrontare
il giudizio degli uomini, forse la tua terribile storia le tue sofferenze
fisiche, avrebbero suscitato la clemenza della legge.
E come si può non desiderare guardando il suo volto sfigurato,
il sudore che cola lungo la sua orrenda cicatrice, l'implacabile inseguitore
che si arrampica sul costone roccioso e Ayala che si libra maestosa
in cielo, che i due, l'aquila e l'uomo non raggiungano il picco e
si sottraggano alla punizione?
Il tema della vendetta ricorre spesso in Zagor come nel caso di Hakaram
il personaggio al quale era stata distrutta la famiglia nell'albo
i Tagliatori di Teste o l'Avvoltoio del numero 22. Epigoni
di Edmondo Dantes, il conte di Montecristo, che consacrano la vita
alla distruzione di coloro che hanno causato la loro sofferenza.
Però Ben Stevens ha una marcia in più.
Un altro personaggio in Zagor deve la sua nascita ad una vendetta!
Zagor stesso!
E guarda caso Ben Stevens e Zagor hanno molti punti in comune. Un
massacro ingiustificato, grottescamente nel caso di Stevens era proprio
ingiustificato nel caso di Zagor il padre aveva la sua buona dose
di colpe, una vendetta consumata, un'aura di soprannaturalità
per impressionare i pellerossa e, soprattutto, le aquile: Stevens
le comanda e Zagor ne è lo spirito.
La differenza sostanziale
è che Zagor raggiunge la sua vendetta e si rende conto
di quanto sia stata inutile e ingiusta. Ma Zagor non è solo.
Ha una guida preziosa che lo aiuta a capire, anche con il suo sacrificio:
Wandering Fitzy.
Stevens è solo, deturpato, menomato, incanalato in un
naturale percorso di follia.
Qui cambia il destino, si dicotomizza: quando a Stevens è offerta
una possibilità di redenzione non la coglie, ma preferisce
affidarsi alla sua unica amica Ayala.
Stevens rifiuta completamente gli uomini che non comprende
più, per chiedere troppo alle aquile che forse non possono
tradirlo, ma neanche offrirgli l' aiuto e la comprensione che a volte,
solo nell'umanità trova il seme per fiorire.
La storia di Stevens poteva finire qui ma è tornato
ben due volte: il primo nolittiano ritorno, splendido al pari del
primo incontro, con uno Stevens ancor più menomato e incattivito,
al quale l'augusta figura di Prometeus non riesce a strappare la redenzione.
Il secondo ritorno, quello orchestrato da Boselli, per me è
stato come una coltellata. Se si doveva tirare fuori dal cappello
un vecchio nemico di Zagor in grado di tramutare gli uomini in animali
perché non riesumare quel vecchio rincitrullito di Basileo?
il Re delle Aquile di | |
disegni | Gallieno Ferri |
storia | Guido Nolitta |
Ben Stevens | |
scheda | Vittorio Sossi |